Tirari e Alzari

Il sollevamento e lo spostamento di elementi costruttivi, anche di grandi dimensioni, è un’operazione che ha sempre suscitato ammirazione, e la storia di gru, argani e dispositivi meccanici in genere è lunga e ricca di passaggi di fondamentale importanza. Da qui la scelta coraggiosa, ma sicuramente promettente, di Andrea Bernardoni e Alexander Neuwahl di ripercorrere le tappe fondamentali di questo percorso partendo dalle più antiche macchine di sollevamento e arrivando al Rinascimento. Nel folio 333 v-a [909 v] del Codice Atlantico, noto sopratutto per gli studi di attacchi di sottomarini e databile intorno al 1485-1487, Leonardo schizza disegni che hanno il carattere impulsivo dei più antichi saggi di tecnologia vinciana accanto a note dal tono vivido ed esuberante. Oltre all’annotazione “ma prima fa patto per istrumento” che consente a Leonardo di rifugiarsi nel “segreto” in mancanza di un brevetto per la sua invenzione, troviamo l’indicazione “vuolsi ’nprontare una delle 3 viti di ferro dell’Opera di Santa Liberata” per cui lo squarciamento delle carene delle navi nemiche sarebbe avvenuto mediante meccanismi a vite. Questa frase pone Leonardo in rapporto con Brunelleschi. La vite di cui vuol prendere un’“impronta” per ottenerne un duplicato è uno dei dispositivi inventati da Brunelleschi al tempo della costruzione della cupola di Santa Maria del Fiore allo scopo di tenere i cavi o altro in tensione. La vite che produce e moltiplica la forza è ben nota agli architetti fin dall’antichità, quando vi si ricorreva per sollevare e trasportare pesi enormi. Come nella vite, così nel peso Leonardo riconosce un’altra delle grandi potenze di natura. La forza motrice prodotta dal peso aveva costituito nel Medioevo un esteso campo di studio che gli Scolastici avevano sviluppato sui testi dell’antichità in un corpo di nozioni teoriche che andavano sotto il nome di scienza dei pesi, il De ponderibus, e che ebbero una applicazione pratica nell’architettura già al tempo delle grandi cattedrali. Sono le stesse nozioni che rimangono valide fino alle soglie del Quattrocento, quando Brunelleschi non soltanto si rifà direttamente ai modelli dell’antichità ma riconsidera la grande tradizione medievale che gli era pervenuta, ancora viva e operante, attraverso gli insegnamenti di Biagio da Parma (il Pelacane, del quale Leonardo conosce e discute spesso il De ponderibus) e Paolo dal Pozzo Toscanelli. Con Brunelleschi si intensifica quel fervore operativo che si esplica in cantiere, dove i concetti teorici sono messi subito alla prova e dove la progettazione spesso si effettua mentre l’operaio procede a costruire. È una pratica che dominerà per tutto il Quattrocento, nonostante l’imponente parentesi teorica dell’Alberti (per il quale l'opera dell’architetto comincia e finisce con il disegno) e nonostante il diffondersi dell’abitudine e della necessità di rivolgersi al committente con relazioni scritte che si espandono in trattati. Bramante stesso che porta l’architettura a una fase di maestà imperiale attraverso lo studio dell’antico col quale porre l’accento su Vitruvio, preferisce attenersi all’esempio brunelleschiano e codificare idee per mezzo di modelli e edifici. Non a caso le note da lui scritte e oggi perdute andavano sotto il titolo di Pratica di Bramante. Viene a mente il personaggio barbuto col cappellaccio sulle ventitrè raffigurato di spalle che Leonardo pone sullo sfondo a sinistra dell’Adorazione dei Magi, e nel quale viene spontaneo riconoscere la figura dell’architetto impegnato a dare istruzioni a chi lo assiste e agli operai già al lavoro. Al lavoro e – non a caso – proprio con tirari e alzari. Queste considerazioni di ordine tecnologico acuiscono la percezione di quelle che potevano essere state le intenzioni di Leonardo nel programmare un’iconografia innovativa per lo sfondo del suo capolavoro giovanile. E infatti si tratta di uno sfondo non più dominato dalla presenza del consueto tempio antico in progressiva rovina, ma dal concitato fervore della scena di un nuovo edificio in costruzione come a evocare la presenza paradigmatica della coeva villa medicea a Poggio a Caiano. Ed è proprio al primo periodo fiorentino che risalgono i fondamenti della tecnologia vinciana come esito di uno studio sistematico e sostenuto delle macchine semplici, e cioè viti, leve, piani inclinati, pulegge e argani; macchine qui riproposte da Bernardoni e Neuwahl che, unendo le loro competenze di ricerca storica e di filologia macchinale, interpretano le fonti della storia della tecnologia per meglio spiegarne ogni aspetto della loro funzione. 

 

Carlo Pedretti, 

Direttore del The Armand Hammer Center for Leonardo Studies, University of California, Los Angeles e della sua sede italiana presso l’Università di Urbino